7 milioni di auto e 190 miliardi di dollari in meno. Questi sono i numeri catastrofici della crisi dei chip per il settore automotive.
Dai primi lockdown di marzo 2020, la capacità produttiva mondiale di chip è calata a picco. Le restrizioni ai lavori non essenziali e i nuovi confini imposti dalla pandemia hanno fermato un mercato già in difficoltà a soddisfare la domanda di tutti.
Il settore dell’automotive questa crisi la soffre profondamente. Visti gli ultimi bilanci trimestrali delle aziende, società di ricerca come AutoForecast Solutions e Ihs Markit hanno alzato la previsione delle perdite per il 2021: dalle 6,3 alle 7,1 milioni di unità.
Con una domanda che sta risalendo e ritardi sempre più lunghi nelle forniture, le case produttrici si trovano di fronte a un muro: come faranno a superarlo? Ne abbiamo parlato insieme a Matteo della Concessionaria Grignani.
L’ombra del lockdown sulla crisi dei chip nell’automotive
La situazione è la seguente: da marzo 2020 i produttori di chip hanno ridotto i volumi di produzione e, di conseguenza, le forniture. Le cause sono state molte: i lockdown in primis, ma anche le semplici restrizioni per frenare i contagi e gli innumerevoli problemi logistici. Non hanno aiutato neanche gli incendi in una grande fabbrica giapponese della Renesas e in una americana della NXP.
Mentre la filiera produttiva era in crisi, tutti hanno iniziato a lavorare in smart working e la tecnologia è diventata l’unico modo che avevamo per interfacciarci con l’esterno. La domanda di chip, dunque, è schizzata alle stelle.
A quel punto i produttori hanno dovuto fissare delle priorità e chi ha vinto il braccio di ferro sono stati proprio i brand dell’elettronica. Mentre l’automotive acquista chip tramite fornitori, infatti, loro li comprano direttamente dai produttori e quindi godono di vantaggiosi rapporti diretti. Finché la pandemia imperversava, il problema era limitato. Il mercato dell’auto era praticamente fermo e la carenza di chip era tamponata con le scorte degli anni precedenti.
Nel 2021 le cose sono cambiate: la ripresa è iniziata, ma i componenti non ci sono. I fornitori dichiarano ritardi lunghi diversi mesi e solo il 70% della domanda di mezzi di trasporto sarà soddisfatta.
Quanto durerà questa crisi? Le previsioni non sono rosee. Stando a Jean-Marc Chery, amministratore delegato della StMicroelectronics, “Le cose miglioreranno gradualmente nel 2022, ma non torneremo a una situazione normale prima della metà del 2023”.
Con “situazione normale” si intendono livelli di inventario regolari e ritardi medi dei fornitori di circa tre mesi. Nel 2022 la domanda soddisfatta sarà dell’85-90%, salvo altre brutte sorprese.
Produzione: cosa cambia
Nel frattempo, le case automobilistiche non sono state con le mani in mano. Ogni azienda ha trovato delle soluzioni per ovviare alla crisi di chip cercando di limitare i danni. Ecco le strade più percorse:
- Rimborso. La soluzione più facile e intuitiva: vendere veicoli senza accessori digitali e rimborsare i clienti per l’add-on non consegnato;
- Rimandare. Molte aziende hanno deciso di vendere auto temporaneamente prive dei chip non strettamente necessari, con la promessa di un’installazione futura;
- Rivolgersi direttamente ai produttori. Chi ha la fortuna di avere i produttori di chip in casa, sta stipulando contratti tappabuchi direttamente con loro per tamponare le perdite;
- Ridurre i prodotti in catalogo. Alcune case hanno optato per un taglio netto della produzione, privilegiando i modelli con più appeal. In questo modo si riduce l’offerta e contestualmente anche la domanda.
Tante strade, che permettono di temporeggiare o aggirare la crisi. Alcuni hanno tentato anche di pensare ad alternative ai chip in silicio, ma per ora nessuno ha trovato la quadratura del cerchio.
Assieme al quadro pandemico che pian piano sta permettendo una ripresa delle catene delle forniture, anche produttori di chip come Intel stanno cercando di aumentare la loro capacità produttiva aprendo fabbriche anche in Europa.
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